Teatro

Dinamo: tre solitudini ed una roulotte

Dinamo: tre solitudini ed una roulotte

Ritorna a Napoli, dopo il focus dedicato alla scena argentina presentato nel Napoli Teatro Festival 2012, Claudio Tolcachir con Dinamo. Testo e regia nati dalla compartecipazione di Lautaro Perotti e Melisa Hermida.

Ritorna a Napoli, dopo il focus dedicato alla scena argentina presentato nel Napoli Teatro Festival 2012, Claudio Tolcachir con Dinamo. Testo e regia nati dalla compartecipazione di Lautaro Perotti e Melisa Hermida.

Dinamo è la storia di tre donne, che per differenti condizioni pregresse si ritrovano a coabitare la stessa dimora: una roulotte. Tra gli ispirati risvegli post sbornia di Ada, ex performer settantenne, alla ricerca forse della passione e del successo di un tempo, i comportamenti routinanti e compulsivi di Marisa, sua nipote,  che a seguito di un trauma infantile (un presunto suicidio dei genitori a seguito di una sua sconfitta epica in un torneo juniores di tennis) è appena uscita, dopo trent’anni, da un istituto psichiatrico, si snoda silente il racconto di Harima. Una straniera, migrante forse (lo si comprende dalla suo linguaggio onomatopeico ed inventato), che vive nelle intercapedini della roulotte e compare di nascosto dagli stipiti della credenza per comunicare tramite Skype con la propria famiglia lontana.

Tre solitudini, coesistenti in questo micro habitat, dalle cui interazioni nascono scene surreali, a tratti comiche. Un adorabile quadretto dinamico che trova la sua forza attrattiva sin dalla location (una roulotte che ricorda la casa delle bambole, senza la parete laterale e ricca di particolari interni), cattura l’attenzione per la surreale circostanza farsesca, attrae per il veloce scambio di battute tra Ada e Marisa, fino ad attingere a piccoli momenti poetici con Harima che, ad esempio, seduta sul tetto della roulotte, canta alla luna.

Ma, per quanto l’interazione tra l’esiguo testo, la messa in scena e l’attorialità funzionino sinergicamente, non c’è (e forse non è neanche necessario che ci sia) molto altro. Dunque, forse, potrebbe essere la sintesi (seppur per un spettacolo già di un ora e dieci di durata) la nota da aggiungere a quest’opera. La brevità donerebbe levità all’insieme e lascerebbe nello spettatore, felice di aver scoperto questo piccolo spaccato esistenziale, quel pizzico di amaro in bocca delle cose finite troppo presto.